La rinascita dell’Arboreto Prandi
di Paolo Roggero
Il viaggiatore proveniente dalla Liguria lo vede comparire in lontananza sulla destra, abbarbicato su un aspro declivio, su uno degli ultimi contrafforti dell’Alta Langa, poco prima che la terra mossa delle colline si tramuti in roccia, dove le Alpi si incontrano con l’Appennino del nord.
Il borgo di Sale San Giovanni, in provincia di Cuneo, ha forme comuni alla maggioranza dei paesini di questo angolo di Piemonte. Un pugno di case e cascinali attorno a un palazzo e a un campanile, affacciati sulle valli in cui in tempi lontani hanno imperversato orde di saraceni: l’eco del loro passaggio in queste terre non si è mai spento, ed ha alimentato le tradizioni e le leggende di cui ancora oggi il viandante può sentire parlare e riconoscere i segni, nel ripercorrere le antiche vie del commercio verso il mare o i sentieri delle foreste, che offrivano asilo e nascondiglio a contrabbandieri e briganti.
In questo territorio si nasconde un piccolo gioiello, sconosciuto ai più ma molto prezioso, che meriterebbe di essere salvaguardato e valorizzato. A poca distanza dal nucleo della borgata, in una località un po’ riparata chiamata Schioda alla base di due colline, c’è un pezzo di bosco in cui un osservatore superficiale non noterebbe nulla di particolare, ma che non può non stupire chiunque abbia qualche familiarità con la botanica.
Infatti, tra le tipiche latifoglie e conifere che caratterizzano la fauna della zona, riconoscerebbe piante tipiche di altre regioni d’Italia e addirittura del mondo. Alberi rari, piante provenienti dall’America, dall’Asia, dall’Africa. Un piccolo ecosistema unico nel suo genere, in cui convivono vegetali delle più diverse provenienze.
L’artefice di questo piccolo miracolo si chiamava Carlo Domenico Prandi: nato nel 1890, ferroviere di professione, fu un uomo di grande cultura e molteplici interessi, tra i quali spiccava l’amore per la botanica. Quando non doveva occuparsi di orari, fermate, rotaie e bielle, si ritirava nella propria cascina circondata da una dozzina di ettari di terreno e si occupava del suo bosco, il progetto a cui dedicò una vita.
I compaesani lo conoscevano bene, ma nessuno avrebbe nemmeno potuto sospettare quello che Prandi stava costruendo nella sua proprietà, e molto probabilmente nessuno all’epoca sarebbe stato in grado di comprenderlo. Oltre alle coltivazioni più comuni, a un frutteto e un piccolo vigneto, Prandi creò un arboreto per l’epoca davvero unico, impiantando esemplari di alberi mai visti prima. Il patrimonio botanico dell’arboreto vanta, tra gli altri, esemplari di Araucaria, Cedro rosso del Giappone, Peccio del Colorado, Bambù, Cedro dell’Atlante, Palma nana, Gelso della Cina, Acero campestre, Sequoia gigante, Faggio Pendulo, Ginkgoo Biloba, e l’albero che è un po’ il simbolo dell’arboreto, il maestoso Faggio rosso.
Fino alla morte, nel 1961, Carlo Prandi si prese cura dei suoi alberi, che con il tempo hanno raggiunto dimensioni monumentali, sperimentando le tecniche agricole più innovative. Portò a compimento con le proprie mani ogni opera presente nell’arboreto, dalla strada ai muretti a secco, che frenano l’erosione dei versanti, dall’irrigazione alla serra riscaldata in cui acclimatava e coltivava le piante esotiche che diversamente non avrebbero potuto sopravvivere al rigido inverno. Talvolta apriva le porte del suo arboreto alle scolaresche e guidava di persona i ragazzi alla scoperta delle bizzarrie e delle rarità contenute in quel suo giardino magico.
Dopo la scomparsa di Prandi l’intera tenuta cadde in uno stato di abbandono. Nessuno dei suoi eredi potè o volle occuparsene. Furono due giovani salesi, Pierluigi Piovano (anche lui ferroviere come Prandi) e Romano Vadda, ad accorgersi del valore di quel piccolo angolo di bosco: i due iniziarono ad impegnarsi, prima da privati cittadini poi, a partire degli anni Novanta, da assessori, affinché quel piccolo tesoro venisse recuperato e valorizzato come meritava.
Molti anni prima che concetti come ecosostenibilità e turismo ambientale diventassero di uso comune i due amici, con notevole lungimiranza, avevano compreso le potenzialità e la ricchezza culturale di quel luogo.
Piovano e Vadda non hanno potuto vedere il frutto dei loro sforzi perché se ne sono andati entrambi prematuramente, il primo nel 1998 e il secondo nel 2008, due anni prima che l’arboreto venisse aperto finalmente al pubblico.
Grazie agli sforzi del Comune di Sale Langhe in collaborazione con la Regione Piemonte, le Fondazioni delle Casse di Risparmio di Cuneo e Torino, la Facoltà di Farmacia dell’Università di Torino e grazie al lavoro e alla competenza di Patrizio Michelis, tecnico agrario della Comunità Montana, furono effettuati tutti gli interventi necessari.
Furono interamente restaurate anche la casa di Prandi e la serra ricavandovi un laboratorio, una sala per lezioni e conferenze e altri locali per attività formative. Nel 2013 è stata costituita un’associazione per lo sviluppo turistico e culturale dell’arboreto, presieduta da Renato Suria e da Patrizio Michelis come vicepresidente.
In questi ultimi anni l’arboreto è stato meta di appassionati e scolaresche, che vengono a approfondire le loro conoscenze naturali: dopo la visita alle coltivazioni delle erbe officinali infatti è abitudine concludere la giornata con una passeggiata nell’arboreto per ammirarne gli alberi, monumenti naturali alla biodiversità e ai diversi ambienti ed ecosistemi del mondo.
L’obiettivo che si è prefissa l’associazione nei prossimi anni, tuttavia, è potenziare sempre di più il valore turistico e culturale di questo luogo, facendone un’attrazione turistica di punta del paese e teatro di iniziative, rassegne artistiche e attività all’insegna del benessere e del contatto con la natura.
Dal 2016 a ricoprire l’incarico di segretario dell’associazione Arboreto Prandi è subentrato Michele Piovano, il figlio di Pierluigi, ed è un po’ la chiusura di un cerchio: “Sono contento di collaborare per continuare il lavoro di mio padre”, spiega Michele passeggiando lungo il viale di platani che accoglie il visitatore all’ingresso. “Lui teneva molto a questo luogo. Dal punto di vista culturale e ambientale ha un valore enorme. Penso si possa fare molto a livello turistico, anche perchè va a inserirsi perfettamente nel discorso che il comune di Sale sta portando avanti da un po’ di anni, muovendosi sul fronte della cultura eco-sostenibile e della coltivazione delle erbe officinali, per le quali il paese ha raggiunto una certa fama a livello europeo. Siamo il secondo polo piemontese della coltivazione di queste erbe”.
I programmi dell’associazione sono tanti: nei prossimi mesi saranno varate nuove attività e progetti culturali, fra cui i corsi dello psicologo olandese Albert Thomas che includono yoga e pratiche di meditazione e rilassamento.
Per chi fosse incuriosito e volesse venire a visitare l’arboreto Prandi l’occasione migliore è la manifestazione “Non solo erbe” che si svolge durante l’ultimo weekend di giugno e nel contesto della quale, tra le altre cose, i visitatori possono scoprire le coltivazioni d’erbe officinali con l’ausilio di una guida, a disposizione per illustrare tutte le rarità e le particolarità botaniche del luogo. È anche possibile prenotare una visita guidata
Per tutte le informazioni si possono visitare il sito www.arboretoprandi.it e la pagina Facebook dell’’Associazione Arboreto Prandi.