Stanno per concludersi le commemorazioni del centenario della morte del pittore poirinese
di Federica Vivarelli
Il 2016 passerà alla storia come l’anno della Brexit, del nuovo presidente degli Stati Uniti e dei Pokemon Go. Per i poirinesi sarà invece l’anno del Gaidano: si stanno infatti per concludere gli appuntamenti che hanno occupato strade, chiese e palazzi comunali per commemorare il primo centenario di morte del
pittore Paolo Gaidano. L’artista delle ombre, il ritrattista dei Savoia, il docente di figura all’Accademia delle Belle Arti di Torino, ma soprattutto “il nostro concittadino più illustre, dice Francesco Varacalli, presidente del circolo fotografico Romolo Nazzaro, dal momento che è nato a Poirino, ha trascorso tra queste vie la sua infanzia e sempre qui si è innamorato della pittura”.
Di Paolo Gaidano si sa ben poco: si conoscono le sue umili origini, e che riesce a diventare pittore in un’epoca che difficilmente permetteva di salire di classe sociale. Ma quando muore, nel 1916, è un artista affermato in tutto il mondo, con opere richieste dall’Inghilterra a New York. “Il più grande artista dell’Ottocento”, hanno addirittura sentenziato alcuni, e si dice che in punto di morte Vittorio Emanuele III avesse voluto vicino quel ritratto che solo Gaidano ebbe il privilegio di fare. “Eppure, ripeto: di lui si sa ben poco. Succede allora che noi e altre nove associazioni del territorio ci siamo ritrovati per raccontare Gaidano con opere teatrali, aperitivi, letture in una rassegna chiamata “Il Gaidano com’era…e come non era”, continua Varacalli”. “Noi del circolo abbiamo deciso di riunire i nostri fotografi più bravi per raccontare la vita e le opere dell’artista attraverso uno strumento di comunicazione immediato per i nostri tempi: la fotografia”. Perché è capitato di raccontare i grandi artisti attraverso film, cortometraggi, libri, spettacoli, interviste a esperti. Il circolo fotografico di Porino ha invece scelto di fingersi Gaidano, mettersi dietro un obiettivo e fotografare con i suoi occhi. O con la sua memoria.
Il risultato? Una biografia per immagini da togliere il fiato: dieci scatti dove tela del pittore e negativi della digitale si confondono, in un gioco d’ombre che rende affascinante il percorso di questo artista misterioso. “Naturalmente non abbiamo fatto tutto da soli”, precisa Aldo Gioda, vicepresidente del circolo fotografico. “Abbiamo approfittato degli studi di un altro poirinese, Franco Pavesio, storico e appassionato di Gaidano. E poi gli sforzi di un’intera comunità: dietro gli scatti ci sono luoghi della città e persone che vivono a Poirino, che si sono ritrovati protagonisti delle tele del pittore”. Mentre dietro al lavoro di questa biografia ci sono quasi dieci mesi di preparazione tra scelta del soggetto, realizzazione del setting e scatto.
La prima immagine proposta in questo viaggio è quella di un bambino che disegna per terra, alcuni pastelli sparsi attorno a lui: “Abbiamo visto così l’amore di Paolo Gaidano per la pittura, racconta Alessandro Casetta, fotografo”. “Si dice che se ne fosse innamorato proprio nella chiesa di Santa Croce a Poirino dove è stata scattata la foto, mentre guardava Appendini affrescare”. Da lì poi troverà Melano, un industriale che diventerà il suo mecenate finanziandogli gli studi. Segue poi, a cura del circolo fotografico, il ritratto di signora con un chiaro riferimento allo studio delle luci del pittore. E poi la fotografia che raccoglie le sue firme, diverse tra loro a seconda del periodo.
Alcune immagini raccontano un avvenimento nella vita del pittore, altre un particolare delle sue tele: “Forse da questo punto di vista l’Angelus è stata la più complicata, ha richiesto un maggior studio sui dettagli e sulle luci. In tutto un mese di lavoro per ottenere lo scatto definitivo”, racconta Varacalli. “In questa foto ognuno, come nella tela, porta con lo sguardo e le intenzioni la propria vita. È stata l’opera più discussa e apprezzata”. Tra queste, il particolare della Vergine, definita “il più bel ritratto sulla Madonna fino a quel momento realizzato”.
E ancora, una foto che ritrae un bel piatto di polenta. “Gaidano non era proprio una persona di spirito, si racconta che fosse abbastanza serioso e di carattere schivo. Un giorno decise di invitare amici e allievi per
una cena a casa sua e dato il modo di fare si aspettavano un momento piuttosto formale”, continua Casetta. “Invece si ritrovano di fronte appunto un piatto di polenta, un piatto della tradizione povera, che si trovava sulle tavole dei contadini. La goliardia piacque così tanto che da allora programmarono ogni anno l’appuntamento, sempre a base di polenta”.
Un’altra immagine racconta con chiodi e martello la crocifissione “con chiaro riferimento alla sua opera più grande nonché il suo ultimo affresco, visibile ancora oggi a Bussana”, racconta Casetta. “Si tratta diun’opera di dimensioni pazzesche, con cura doviziosa di ogni particolare. Incredibile perché si dice che Gaidano ci mettesse davvero poco tempo a realizzare le sue opere, addirittura un quarto d’ora per i ritratti. Capacità straordinaria vista l’attenzione alle luci e ai colori. A Bussana si noterà anche un autoritratto del pittore, con un’ampolla in mano. Molti all’epoca videro in essa una brocca di vino, visto che Gaidano era conosciuto anche come un incallito bevitore”.
Infine un’immagine del bar Florio di Torino, “uno dei luoghi dove Gaidano amava sostare, spiega Varacalli, e che comunque rappresenta uno dei pochi elementi personali nella vita di Gaidano da adulto”.
Gaidano, dunque, artista misterioso. E come ogni enigma che si rispetti non poteva mancare una caccia al tesoro: “Documentandoci sulla vita dell’artista per il materiale fotografico, abbiamo scoperto che di Gaidano non esiste una lista delle opere, spiega Gioda, e quando una laureanda in Storia dell’Arte, Aurora Bellan, ci ha chiesto un aiuto, ne abbiamo approfittato per dare luce a questo mistero”. Perché il pittore preparava le opere su cartoni dove delineava lo schizzo del progetto prima della realizzazione. “I cartoni si trovano al Museo del Territorio di Biella, e sono in tutto 101. Quindi altrettante avrebbero dovuto essere le opere, aggiunge il vicepresidente, eppure risultano conosciute meno del settanta per cento. Ci siamo così messi alla ricerca di tutti i pezzi mancanti, armati di macchina fotografica per catturare questi importanti momenti storici”. Ad esempio a Penango, dove le opere risultano dai cartoni ma non nella chiesa: “Gli indizi parlavano di medaglioni sacri. Siamo riusciti a risalire al fatto che la chiesa è stata demolita e poi costruita. I medaglioni li abbiamo però visti e fotografati lo stesso, attraverso una vecchia cartolina scattata prima dei lavori”.
Un caso simile anche nella sede delle suore dell’Adorazione a Valsalice: “Il convento era stato distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e ricostruito nel ’68”, prosegue Gioda. “Anche lì, da una vecchia fotografia siamo riusciti a intravedere sullo sfondo un’opera in azzurro e porpora, tipici colori del Gaidano”. E ancora, a Carmagnola: “Nella chiesa di Borgo San Giovanni c’è un’opera che risulta dai cartoni ma che non ha firma nell’originale. La tecnica è tipicamente del Gaidano. Tuttavia c’è una porta al fondo sulla destra: forse erano proprio lì le sue iniziali, e i lavori ne hanno cancellato le prove”.
Tra mostra e spettacoli dedicati, sono stati migliaia i visitatori fra scolaresche, appassionati o semplicemente curiosi attratti da questo anno di commemorazione. “Quel che dispiace è che ora che l’anniversario è agli sgoccioli non sappiamo bene cosa succederà di questo impegno”, conclude Varacalli. “Una volta finita la mostra le foto sono state messe negli scatoloni e lasciate nel magazzino. Noi del circolo fotografico saremmo presenti con impegno: perché non pensare a un museo, o comunque a uno spazio permanente da dedicare a Gaidano? D’altronde proprio Poirino è stata la culla della sua passione”.