Vecchi scarponi e casette in Canadà
Dina e Delfina Fasano, le gemelle della canzone scacciapensieri nell’Italia del dopoguerra
di Manuela Vetrano
Erano le dieci di sera del 29 gennaio 1951 quando la voce garbata di Nunzio Filogamo uscì dalle radio a valvole di un’Italia che si stava rialzando dai disastri della guerra. Quella sera il presentatore siciliano, al quale Torino nel 2004 ha intitolato il giardino di via Montebello a fianco della Mole Antonelliana, dava il via da Sanremo alla prima edizione del Festival della Canzone Italiana.
Nulla a che vedere con la pomposa kermesse del Teatro Ariston che siamo abituati a vedere oggi in televisione, dove il look di artisti e vallette e il cachet di presentatori e ospiti fanno parlare più delle canzoni in gara. Nel 1951, e fino al 1977, la competizione canora si svolse nel salone delle feste del Casinò della città ligure. I pochi cantanti si esibivano davanti a un pubblico che consumava aperitivi seduto attorno a tavolini rotondi. All’epoca lo spettacolo era in funzione della radio, perciò non esistevano scenografie strabilianti né cambi d’abito a ogni serata. Venti erano le canzoni in gara in quella prima edizione. A cantarle, con l’accompagnamento dell’orchestra del maestro Cinico Angelini, furono chiamati Nilla Pizzi, Achille Togliani e due giovani sorelle di Torino, Dina e Delfina Fasano.
Le gemelle monozigote Secondina “Dina” e Terzina “Delfina” Fasano nacquero a Torino il 21 settembre 1924. I loro caratteri avevano qualche differenza: esuberante e appassionata di sport Dina, timida e amante del teatro Delfina. Ma l’aspetto era identico: minute e graziose, con sguardo e sorriso solari, erano uguali come due gocce d’acqua. Spesso distinguerle si rivelava un’impresa, ad esempio a scuola. Dina era forte in matematica e Delfina in storia. Pare che le due monelle usassero scambiarsi per riuscire a superare le interrogazioni. Scoperto l’inganno, il preside impose ai genitori di pettinarle in modo diverso per aiutare i professori a riconoscerle.
Entrambe frequentavano le scuole magistrali come tante coetanee quando, nel 1941, il destino diede un indirizzo insolito alla loro vita. La madre Anna gestiva una cartolibreria in via Po, dove le sorelle andavano a dare una mano dopo le lezioni. Un giorno, mentre stavano uscendo dal negozio, vennero fermate da un distinto signore, che forse le teneva d’occhio già da qualche tempo.
Quell’uomo era il musicista Carlo Alberto Prato, uno dei grandi nomi dell’Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e pigmalione nientemeno che del mitico Trio Lescano. Il gruppo vocale formato dalle sorelle olandesi funzionava così bene in quel periodo che Prato non si lasciò sfuggire l’occasione di ritentare con le due gemelline di via Po le sorti del mercato discografico. Il maestro domandò a Dina e Delfina: “Sapete cantare?”. Ricevette in risposta un “No” all’unisono, in accordo perfetto. Era proprio il suono armonioso che lui si aspettava da quelle bocche, così le invitò all’Eiar per un provino. Quella sera Dina e Delfina raccontarono ai genitori dell’incontro e chiesero il permesso di fare l’audizione. La madre disse loro: “Provate!”. Il padre, un rappresentante di stoffe di origine vercellese, fece lo stesso, ma si affrettò a precisare che tanto non avrebbero combinato nulla di buono perché cantavano “come due zanzare”. A volte capita che i genitori siano carenti in lungimiranza…
Provare non costava nulla. Le gemelle andarono alla sede Eiar di via Verdi e cantarono “Pippo non lo sa”. Le due voci, alta quella di Dina e bassa quella di Delfina, si amalgamavano fondendosi come una sola. Ha scritto in merito il giornalista Maurizio Ternavasio: “La voce del Duo Fasano era un gradevole impasto intriso di swing, jazz e blues, che si rifaceva in parte alle Andrews Sisters d’oltreoceano”.
Incantarono il maestro Prato che affermò di aver davanti un “fenomeno di musicalità” e così la loro avventura canora cominciò. Presero lezioni di dizione, fonetica e canto dalla mattina alla sera e fecero mesi e mesi di prove.
Ma la guerra le bloccò.
L’Eiar sfollò a Montecatini e loro non la seguirono. Il negozio della madre fu distrutto dai bombardamenti. La famiglia aveva bisogno di aiuto ma, nonostante avessero conseguito il diploma, le sorelle non riuscirono a rientrare nelle graduatorie per l’insegnamento perché “prima di noi c’erano gli orfani e i reduci”, raccontò Delfina.
Tornarono dal maestro Prato e nel 1948 ripresero a cantare. Si esibivano nei locali di Torino: La Serenella, El Trocadero Club, La Tavernetta Bar Sestriere, Il Punto Interrogativo…
Entrate nell’organico dell’orchestra di Cinico Angelini, partecipavano a dieci trasmissioni radiofoniche alla settimana, tutte rigorosamente dal vivo. La frase “Suona il maestro Angelini, canta il Duo Fasano” diventò di rito per le orecchie degli italiani.
Nel 1948 il Duo Fasano iniziò anche ad incidere dei 78 giri come spalla di Nilla Pizzi, fino al debutto nella prima edizione del Festival di Sanremo del 1951. Come dipendente Rai il Duo Fasano percepì una diaria di cinquemila lire per le tre serate della manifestazione. Alla serata inaugurale le due ragazze erano molto agitate: “Hanno dovuto ubriacarci un po’ per farci andare in scena”, confidarono ad un giornalista. E non cantarono una sola canzone come oggi è d’abitudine, ma otto brani come soliste o accompagnatrici della Pizzi e di Togliani: Al mercato del Pizzighettone, Famme durmì, La cicogna distratta, La margherita, Sotto il mandorlo, Oro di Napoli, Sei fatta per me, Sorrentinella.
Il successo scoppiò, complice un mix di bravura, bellezza e simpatia, e durò per tutti gli anni Cinquanta. Parteciparono altre quattro volte a Sanremo: nel 1952, 1954, 1957 e 1958. All’edizione del 1957 risale il loro più grande successo, Casetta in Canadà, cantata insieme a Carla Boni e Gino Latilla. Chi non ha mai cantato almeno una volta l’irresistibile ritornello?
Il Duo Fasano incise ben cinquecento brani, soprattutto per la famosa etichetta Cetra. Il pubblico le aspettava fuori dagli studi Rai, sacchi di lettere di ammiratori con complimenti e proposte di matrimonio arrivavano solo per loro. Era la madre che rispondeva alle missive, mentre le sorelle lasciavano l’autografo.
Negli anni Sessanta le melodie del Duo Fasano risentirono del cambiare delle mode e dell’avvento degli “urlatori”, le novità si scontravano con la tradizione incapace di comprenderle. “Noi apparteniamo alla leva dei cantanti che, prima di poter pronunciare Hernando tre caffè davanti a un microfono della radio, dovevano sopportare le bizze di dieci professori di fonetica. Oggi le parole urlate, distorte, bistrattate da ugole catarrotiche e gracchianti, solo all’apparenza appartengono al vocabolario” dichiararono le sorelle nel 1967. Dina e Delfina scelsero di esportare le loro canzoni all’estero, dalla Spagna alla Cecoslovacchia, dall’Argentina all’Australia.
Rientrate in Italia, negli anni Settanta tornarono in auge: ripresero ad esibirsi nei locali durante le serate amarcord; collaborarono nel biennio 1974-75 ai primi due album di Paolo Conte usando però i cognomi da sposate: Pesante per Dina e Parmetler per Delfina; presenziarono a diversi programmi televisivi, come Cari amici vicini e lontani di Renzo Arbore; nel 1983 incisero il loro ultimo 45 giri, Noi-Io verrò con te, “con questa nuova musica che non capiamo bene. In sala d’incisione ai nostri tempi c’era tutta l’orchestra, oggi è tutto fatto con basi preregistrate…”. Nel 1986 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga le nominò benemerite della cultura musicale e canora italiana e due anni dopo si ritirarono definitivamente dalle scene.
Negli ultimi anni si telefonavano dieci volte al giorno e amavano passare il tempo giocando a bridge. Trascorsero una vecchiaia riservata, come del resto fu la loro giovinezza: “Abbiamo sempre odiato ogni forma di pubblicità, in questo siamo piemontesi, non c’è alcun dubbio. Non abbiamo mai cercato di essere dive”.
Dina morì il 22 novembre 1996, Delfina il 15 dicembre 2004. Entrambi i funerali si celebrarono nella chiesa della Beata Vergine delle Grazie alla Crocetta. Le gemelle della canzone riposano al Cimitero Monumentale, dopo una vita passata sempre fianco a fianco, fiere del loro percorso e senza avere mai nessun rimpianto. Testimoni della rinascita del Paese dopo la guerra e protagoniste di un’epoca spensierata e leggera che cantava di vecchi scarponi e casette in Canada. Come ricordava Dina, “Abbiamo avuto una giovinezza meravigliosa e la fortuna di nascere così uguali. Dicono che i gemelli hanno un’anima sola ed è proprio così. Noi due siamo un’unica persona divisa in due per puro caso”.