Non assistenza, ma socializzazione e valorizzazione di competenze
di Francesca Mogavero
Arrivo in via Carlo Bossoli 97 alle 9.30, in anticipo rispetto all’appuntamento concordato con la responsabile Chiara Bechis, ma a Casa di Zenzero sono già tutti pronti.
Tra ordini da consegnare e assortimento per la vetrina il lavoro non manca, i ragazzi sono impazienti di immaginare, progettare e forgiare, e la colazione è già un ricordo.
Divisi in tre gruppi, i beneficiari del Centro Attività Diurne oggi si dedicheranno a imbastire balene di stoffa, a cardare il cotone con cui imbottirle e a realizzare astucci e collane.
Prima di studiare da vicino tessuti e bottoni e di ascoltare i “trucchi nel mestiere”, leggo la Carta dei Servizi, un documento completo e preciso che illustra le finalità, i criteri di valutazione e le caratteristiche di Casa di Zenzero, nata nel 2005 all’interno di “Stranaidea” (www.stranaidea.it), cooperativa sociale torinese di tipo A (che cioè si occupa “della gestione dei servizi socio-sanitari, formativi e di educazione permanente”, ndr) attiva dal 1986.
Il Servizio, gestito in collaborazione con la Cooperativa RES e le Associazioni “L’Ancora” e “Punto Diapason”, è rivolto a persone in condizione di disabilità ultrasedicenni, dichiarati non idonei a una collocazione lavorativa nel mercato del lavoro, e ha la finalità di potenziare e mantenere le abilità pre-professionali, professionali e sociali attraverso attività artigianali che valorizzino il potenziale espressivo dei beneficiari. Il tutto in un rapporto di comunicazione e trasparenza, tenendo conto delle condizioni, delle esigenze, delle richieste e delle considerazioni dei beneficiari stessi, parte attiva dei processi produttivi – dalla scelta delle materie prime presso fornitori convenzionati alla catalogazione e alla promozione – nonché primi valutatori.
Attraverso l’osservazione, il fare concreto e la relazione, Casa di Zenzero rappresenta un ponte tra soggetto, famiglia e territorio, realizzando“investimenti a favore dell’intera comunità”. Frase che non potrebbe essere più vera: le collane, gli abiti, i segnalibri realizzati dai ragazzi sono belli – un aggettivo forse semplice e abusato, ma sincero – e il cliente li sceglie per la loro qualità, unicità, eccellenza, scoprendone solo in seconda battuta il valore sociale intrinseco. In cambio, la collettività può riconoscere il Servizio e il suo operato, offrire occasioni di scambio reciproco di tempo, lavoro ed esperienze, diventare cliente, passare parola.
Casa di Zenzero non dà assistenza, ma accoglie e valorizza competenze, favorisce l’autonomia e la socializzazione, nel rispetto dei tempi e delle peculiarità degli individui e del gruppo; come in ogni ambiente lavorativo, i ragazzi firmano la scheda di presenza (ricevendo un piccolo riconoscimento a fine mese), discutono progetti, permessi, orari. In una dimensione adulta, che stimola a confrontarsi e a chiedere ai colleghi e ai supervisori, senza attendere un intervento “dall’alto”, ma facendo sentire la propria voce e reclamando il proprio posto nel mondo.
L’atélierdi via Bossoli – non potrei definirlo diversamente – è uno spaccato sociale: ciascuno ha specificità e bisogni, ma esistono norme comuni da tenere presenti, regole che invitano alla concentrazione e al rispetto degli altri, al fine di portare a termine un lavoro, frutto dell’equipe e non del singolo. Ognuno ha compiti e responsabilità (le “referenze”) – Simone
abbassa la serranda, Sara dà una passata di scopa a fine giornata – e tante schede tecniche come supporto mnemonico, istruzioni per riprodurre braccialetti, vestiti e svuotatasche e per dimostrare che quelle creazioni artigianali esistono e si lasciano guardare, acquistare, adottare.
Casa di Zenzero è uno spazio vivace in cui ciascun beneficiario, segnalato dai Servizi Sociali Assistenziali di Torino, può essere ammesso “senza data di scadenza”, con la possibilità di mettersi alla prova anche all’esterno attraverso stage, progetti comunali, esperimenti di co-conduzione di laboratori nelle scuole, mercatini, brevi vacanze (che Antonella spera di replicare al più presto!) o semplicemente vedendo i propri prodotti esposti alla bottega InGenio, la vetrina della Città di Torino che valorizza le opere d’arte di persone con diversa fragilità e mette in rete cooperative e associazioni.
Attualmente, il Servizio ha in carico sedici persone tra i 22 e i 54 anni – tre con presenza part-time e tredici a tempo pieno – coordinati da due tecnici e tre operatori educativi; le attività si svolgono tutto l’anno, dal lunedì al venerdì, dal mattino alle ore 16 circa, alternando lavori di sartoria, creazione di gioielli, grafica (i tre laboratori principali), inglese, teatro, nuoto, clowneriee molto altro.
La mia formazione teorica si conclude con una frase che Chiara mi legge ad alta voce e che riassume l’identità di Casa di Zenzero: “un Centro di Attività Diurne rivolto a persone con disabilità che trasforma le capacità individuali in creazioni collettive. Il nostro servizio ha uno spirito educativo artigianale: in un ambiente accogliente impariamo a credere nelle nostre capacità, esprimere la creatività attraverso il lavoro e diventare autonomi”.Mi basterà un minuto in compagnia dei ragazzi per averne conferma.
Al tavolo riservato agli astucci e alle collane Nicola sovrintende, mentre Sabrina va avanti come un treno ad annodare e infilare bottoni nel filo cerato, quasi dimenticandosi che a volte, anche nei viaggi più appassionanti, è necessario fermarsi per fare rifornimento, ma per fortuna c’è Elena, una delle operatrici, a ricordarlo. E se alla fine del processo creativo sul tavolo avanza una perlina, niente panico: è stato proprio Nico a prenderne una in più (“non si sa mai”) dalla scatola, così simile a un porta caramelle gommose. Petra, intanto (“è rumena, è la più simpatica”mi spiega il più anziano della compagnia) – taglia una stoffa“dura come la testa di Ernesto”, il quale accoglie il paragone con una risata e trasforma uno scampolo in un cannocchiale.
Nella postazione del cotone, Stefano, Salvatore, Antonella, Simone e Teresa hanno trasformato i batuffoli in voluminosi fiocchi che aspettano solo di essere inghiottiti da una balena celeste. La stessa che Paolo, Sara ed Enrico stanno imbastendo con ago e filo tra una battuta e uno scoppio di risa che contagia anche Laura, volontaria del Servizio Civile con un talento speciale per il disegno e gli acquerelli, e Lea, studentessa parigina dello SVE (Servizio Volontario Europeo, ndr).
Su tutto, sopra il rumore della città, i clacson e il rombo degli autobus fuori dalla porta spalancata, le note di Chopin, morbide e rasserenanti.
Intanto si sono fatte le 12.30 e gli stomaci brontolano: è ora di pranzo. In fila, chiacchierando o in silenzio, per mano (oppure no perché fa troppo caldo, ma sempre aspettandoci se una scarpa si slaccia e rispettando il passo altrui) raggiungiamo “L’albicocco”, il bar convenzionato. Il personale di sala chiama i ragazzi per nome, conosce i loro gusti e ricorda chi ordina un macchiato e chi un decaffeinato. Sappiamo già quali portate saranno servite: ogni sera i gestori del locale inviano a Chiara il menù del giorno successivo e, al mattino, entro le 10, ognuno può scegliere apponendo una X nell’apposita casella. Anche la scelta alimentare dei ragazzi può diventare uno spunto su cui riflettere, rilevando una particolare preferenza, una colonna della tabella più ricorrente, una scelta che si discosta dalla dieta consueta.
L’ora trascorre placida, un commento sul sale, un plauso al cioccolato, il pensiero già rivolto alle attività del pomeriggio. Terminato il “momento-igiene” siamo pronti a riprendere quel punto lasciato a metà, a tagliare, a scegliere il bottone più adatto a diventare l’occhio della balena – quello che riceve più alzate di mano è viola e iridescente, e conferisce al cetaceo di stoffa uno sguardo brillante e un po’ languido.
Ci ha raggiunto anche Fabiana – 22 anni, caschetto biondo sbarazzino e occhi azzurri, è la più giovane e la new entry– che mi confida che “qui si viene quando si diventa grandi”e, alla mia domanda su quale sia il suo laboratorio preferito, mi risponde “tutti!”con un trillo spontaneo ed entusiasta.
Le ore galoppano, io apprendo, scatto foto, immortalo gesti e un tripudio variopinto di mantelle e magliette, girocolli con pesciolini di ceramica e orecchini con i colori delle emozioni – i significati me li spiegano Antonella e Salvatore. Teresa, a cui piace “prendere appunti”, mi mostra il suo quaderno ad anelli (ogni beneficiario ne ha uno): lo si riconosce dalla coccinella sul dorso, un disegno che la rappresenta. Contiene i numeri di telefono importanti, le schede sui giorni della settimana, i mesi dell’anno, le festività, l’orologio, l’inventario dello spogliatoio, il corpo umano, le referenze – lei si occupa delle piantine – le regole per vivere all’interno del gruppo.
Mentre Chiara completa il diario della giornata, si avvicinano le 16 ed è il momento di riordinare: scarti di tessuto e carta spariscono nei cestini, i tavoli vengono ripuliti in vista dei prossimi lavori, le sedie sono rimesse in ordine mentre volano saluti e grazie, una parola che ho sentito ripetere tante volte in queste ore.
Oggi abbiamo imparato e condiviso tanto, domani ci sarà ancora molto da fare, lembi da ricucire, scampoli da srotolare e pagine da riempire, e saremo più consapevoli che “esistono infiniti modi di essere, miliardi di personalità, innumerevoli combinazioni di esperienze e di vita”, per citare le parole di Kundera incorniciate su una delle pareti di Casa di Zenzero.
Info: www.stranaidea.it/servizi/disabilita/servizi/cad-casa-di-zenzero